Il Vice Presidente di Confassociazioni University Lorenzo Montecchiani “L’utilizzo dei robot di ultima generazione nella nuova realtà dell’Industria 4.0 deve essere visto come un’opportunità di sviluppo non solo per la fabbrica ma anche per i lavoratori, più che come una minaccia”

Con Industria 4.0 si fa riferimento alla quarta rivoluzione industriale, caratterizzata da una estrema digitalizzazione e automatizzazione della fabbrica. Quest’ultima diventa “intelligente” (Smart Factory) poiché, grazie alle tecnologie quali sistemi ciberfisici e all’Internet of Things, riesce a raccogliere e ad analizzare i dati di produzione praticamente in modo autonomo, trasferendoli poi ai vari settori interessati.
L’elemento fondamentale del concetto di 4.0 è che l’impianto produttivo sia connesso ad Internet in logica wireless; in questo modo la fabbrica non è vincolata ad infrastrutture particolari e può essere collocata con più libertà sul territorio, così come all’interno di essa si ha più scelta nella disposizione dei macchinari (anch’essi singolarmente connessi ad Internet ovviamente).
In un contesto simile si capisce come sia normale il largo utilizzo dei robot industriali di ultima generazione, capaci di svolgere più compiti all’interno dell’azienda e di comunicare tra loro e con gli operatori. Vengono impiegati per lavori di precisione, ma anche per mansioni ripetitive, usuranti e pericolose per gli esseri umani (ad esempio il trasporto di pallet molto carichi). Tutto ciò porta vari vantaggi all’impresa, tra cui la riduzione del tempo ciclo, degli sprechi e dei costi di produzione.
I lavoratori si possono sentire minacciati da questa enorme automatizzazione, infatti numerosi lavori verranno svolti dai robot che quindi andranno a sostituire gli operatori. In realtà, più che parlare di sostituzione, si può affermare che cambia l’assegnazione dei compiti: come detto, i robot faranno operazioni estenuanti e ripetitive quindi l’umano può essere collocato ad una mansione più complessa e a valore aggiunto maggiore.
Sta cambiando il rapporto tra lavoratori e robot, passando da uno conflittuale ad uno collaborativo. Potendo comunicare con l’automa, l’operatore deve vederlo come un “collega” di lavoro, che lo supporta nelle decisioni e lo aiuta nei compiti difficili, e non quindi come una semplice minaccia al suo posto di lavoro.
Le persone sono, nonostante l’avanzamento tecnologico, indispensabili per le industrie grazie alla loro flessibilità. Questa caratteristica, ancora non presente nei robot nonostante si stia cercando di fargli riprodurre il comportamento umano, permette loro di aggirare i problemi e di acquisire col tempo sempre più esperienza.
Ecco il pensiero su questo tema di Alessandro Troise, mio amico e collega universitario del corso di Smart Factory all’Università La Sapienza di Roma: “Più che un vero e proprio problema occupazionale, ci sarà un cambiamento del ruolo del lavoratore all’interno della fabbrica. In particolare, l’uomo non sarà più addetto a svolgere operazioni routinarie e pericolose ma avrà il ruolo di controllare e programmare il lavoro che sarà poi svolto dai nuovi macchinari e robot. L’aspetto più importante da tenere in considerazione, secondo me, è l’evoluzione del ruolo dell’uomo, che si deve specializzare sempre di più in operazioni che le macchine o i robot non possono svolgere”.
In conclusione, queste novità nel campo tecnologico e industriale, sebbene ancora possano essere viste sotto una luce diversa, portano un giovamento a tutti coloro che partecipano al sistema produttivo: alla fabbrica, perché diventa più operosa ed efficiente, e ai dipendenti, perché smetteranno di compiere un unico lavoro ma avranno la responsabilità di più operazioni durante il processo produttivo.

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